Scelta del fisioterapista

Secondo l’AIFI (Associazione Italiana Fisioterapisti), il fisioterapista (già terapista della riabilitazione) è un professionista della Sanità in possesso del diploma di laurea o titolo equivalente, che lavora, sia in collaborazione con il medico e le altre professioni sanitarie, sia autonomamente, in rapporto con la persona assistita, valutando e trattando le disfunzioni presenti nelle aeree della motricità, delle funzioni corticali superiori e viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita o acquisita.

 


 

Sul campo operano ovviamente molte figure che hanno iniziato il loro iter lavorativo molto prima che ci fosse la laurea in fisioterapia e, dal punto di vista pratico, sarebbe comunque penalizzante (oltre che errato) sostenere che chi non ha il pezzo di carta (leggasi laurea) non è un fisioterapista (basta chiamarlo “terapeuta” e chiedersi se sia o no una persona valida).

La definizione dell’AIFI è però importante perché, a prescindere da definizioni giuridiche, definisce le caratteristiche che deve avere un buon fisioterapista. Dopo anni di contatti con fisioterapisti di ogni tipo, ecco una breve descrizione tratta dall’esperienza con il mio fisioterapista personale.

 

Preparazione

Abbiamo già detto della necessità della laurea in fisioterapia, del diploma universitario o di fisioterapista (o di titoli equivalenti conseguiti prima del 31 dicembre 1998). Fondamentale è però anche la capacità d’aggiornamento del fisioterapista che deve essere sempre aggiornato.

Ciò non vuol dire semplicemente utilizzare gli ultimi ritrovati, ma essere in grado di capirne l’efficacia e, soprattutto, i limiti. In genere, il fisioterapista poco preparato tende a proporre acriticamente a tutti la moda del momento.

 

Tempo

Diffidate di chi dedica al paziente magari una ventina di minuti al massimo, spesso lavorando in time-sharing su più pazienti.

 

Costo

Essere troppo economici è un difetto notevole. Sedute da 10 o 20 euro automaticamente costringono il fisioterapista a lavorare dedicando poco tempo al paziente. Spesso sono necessarie molte più sedute (e il paziente guarisce per effetto tempo) e alla fine il costo è equivalente a quello di un professionista più serio

 

Strumentazione

Da un lato è opportuno diffidare di chi usa soltanto macchine (magari in modo impreciso): il vero fisioterapista usa terapie manuali, fisiche, strumentali e massoterapiche.

Dall’altro è anche opportuno diffidare di chi ha strumentazione inadeguata (spesso per problemi di budget). Imparate a conoscere le terapie che funzionano (ved. l’Enciclopedia delle terapie) e verificate che siano quelle usate dal fisioterapista, senza che lasci troppo spazio a terapie a basso indice di efficacia

 

Test funzionali

Sono un punto molto importante perché permettono di simulare il carico sportivo (quello più banale è il test della scala); il fisioterapista che dice “prova a correre, vediamo come va…”, non ha una buona preparazione.

La conoscenza di test funzionali che diano un quadro esatto del problema evita di incanalarsi in continue prove che spesso aggravano il problema e ritardano la guarigione

 

Collaborazione

Diffidate di chi vuole fare tutto da sé (delirio di onnipotenza). La collaborazione con il medico e la necessità di avere esami clinici spesso approfonditi è fondamentale per il buon professionista che solo così può garantire al cliente il miglior supporto.

 

Approccio scientifico

Lasciate perdere chi si muove ai margini o fuori dalla scienza, con cure alternative di dubbio spessore. Come un medico scientificamente preparato che propone cure tradizionali mai proporrebbe cure omeopatiche, così il fisioterapista professionale deve evitare le lusinghe di terapie alternative che, di fatto, sono solo palliativi.

 


 

La visita

Il cliente cercherà di valutare la figura professionale in base ai punti sopradescritti; durante la visita dovrà prestare attenzione ad altri due fattori.

 

Il fisioterapista deve acquisire la massima informazione

Una conseguenza del precedente punto Collaborazione. Chi non propone un’ecografia (o, a seconda dei casi, una radiografia o una risonanza magnetica ecc.) pecca di presunzione. Se la situazione non è chiara, cosa gli costa proporre qualche esame in più? Per esempio, alcune tendiniti inserzionali dipendono dall’iperuricemia del soggetto. Anche se solo un 10% (alcuni dicono il 30 altri il 5) dipende da ciò, perché in presenza di tendinopatia inserzionale non si esegue un esame del sangue? Come si fa a proporre un plantare senza conoscere lo stato del tendine?

Faccio mettere un plantare, il runner corre e un mese dopo il tendine si spezza (già successo a un visitatore del mio sito). Magari il plantare poteva andare, ma bisognava prima verificare lo stato del tendine. Se ci si rivolge a un chirurgo che va dritto all’operazione, la sua scelta può essere effettivamente l’unica, ma si può proporre dopo aver fatto esami accurati.

Per esempio, se un’ecografia mostra una calcificazione al rotuleo, qualunque terapia che non risolva la calcificazione è inutile e l’operazione è inevitabile. Un altro terapeuta potrebbe dire: tentiamo con il litotritore o con il laser di potenza. Sarebbe comunque giustificato perché ha tutte le informazioni e dopo poche sedute dovrebbe indirizzare il runner verso l’operazione o (in pochi casi) avrebbe risolto il problema.

 

Il fisioterapista deve dare una spiegazione logica della proposta di guarigione

Questo secondo punto fa cadere l’affidabilità di molti terapeuti che confondono la causa con l’effetto. Classico il problema posturale, il problema dentale, il problema del piede ecc. Chi corre e ha avuto il problema dopo diversi mesi dall’inizio della carriera sportiva non deve confondere la causa del problema con la risoluzione dello stesso.

Supponiamo che la causa possa essere uno dei problemi appena citati. Va bene, ma per diversi mesi io ho corso, quindi la guarigione della presente patologia deve farmi tornare all’inizio. Un qualunque sedentario con problemi di appoggio, di postura, di denti ecc. riesce a fare (prima di infortunarsi) diverse sedute di allenamento. Lui è sano. Ora anch’io voglio tornare sano, poi adotterò le giuste contromisure.

In altri termini, con esempio pratico: ho una tendinite. Mi propongono un plantare, un’operazione alle ginocchia per correggere un varismo, un apparecchio per la masticazione, migliaia di sedute in palestra per potenziarmi. NO! Prima devo guarire la tendinite, magari sospendendo l’attività. Il terapeuta, se è tale, deve curarmi la patologia. Poi si preoccuperà del mio futuro atletico, consigliandomi in merito.

Con questo approccio si evita di spendere soldi e sprecare tempo. Cosa succede (come avviene in molti casi) se dopo aver messo il plantare, fatto l’intervento, portato l’apparecchio il problema persiste?

Alcuni rispondono che per la corsa vale la pena tentare. Ma allora perché non andare a Lourdes (o meglio a Medjugorje le cui azioni sono in rialzo)?

 


Fonte: Albanesi.it
Data inserimento nel sito: 29.01.2016

         

 
 

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