La nascita e lo sviluppo del comportamento tattico

Felice ACCAME

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Il cervello

Il cervello Con l’avvento di una tecnologia che potremmo definire “ispettiva”, in virtù della quale i neurobiologi ottengono immagini rielaborate su base statistica, aumentano le nostre conoscenze sul cervello e vengono prodotti nuovi modelli della funzione mentale.

Le stesse cellule gliali che, fino a poco tempo fa, erano confinate ad un ruolo di sostegno, protezione e nutrizione di quei miliardi di cellule specializzate che sono i neuroni – sviluppatisi ben 600 milioni di anni fa, secondo i neuropaleontologi -, oggi possono essere considerate anche per altre funzioni più rilevanti, come quelle di produrre anch’esse potenziali d’azione e trasmettere impulsi, ma ad una velocità inferiore rispetto a quella dei neuroni.

Ad ogni neurone possono essere assegnate anche decine di migliaia di sinapsi, ovvero di quelle efficientissime macchine elettrochimiche che – gestendo impulsi e il rilascio di neurotrasmettitori - connettono i neuroni gli uni con gli altri e questi fino alle terminazioni più periferiche che mettono in moto la fibra muscolare.

Il fatto che il patrimonio di queste sinapsi si aggiri intorno ai 500.000 miliardi di unità ci dà un’idea della complessità del problema che gli studiosi naturalistici si trovano davanti.

 

I suo sviluppo

Questa “macchina” non ci è data così com’è una volta per tutte. Cambia nel tempo – e, pertanto, possiamo parlare di un suo sviluppo.

A quanto sembra il volume del cervello cresce del 300% fino al 20° anno e il numero dei neuroni che si formano prima e dopo la nascita è il doppio di quello dei neuroni nel cervello maturo. Il che significa che il cervello è pianificato secondo principi rigorosamente economici: mai lasciar sopravvivere consumatori di energia in sovrappiù. Sono programmati per morire 110-120 miliardi di neuroni.

Se un neurone sopravvive, allora, è presumibile che a qualcosa serva. Tuttavia, sull’argomento, tra gli specialisti si scontrano tuttora opinioni diverse.

C’è chi giura sull’alta specializzazione di alcuni gruppi neuronali – o “assemblee”, vengono chiamate anche così – (in passato c’è stato anche chi giurava sulla specializzazione del singolo neurone – oggi un po’ meno) – e chi, invece, sostiene la tesi che, comunque, le funzioni – come quelle del riconoscimento dei volti, come quelle della comunicazione e della comprensione di parole – siano distribuite tra gruppi diversi.

Il modello di funzione fino ad ora apprestato è troppo povero per poterne avere un riscontro puntuale nella ricchissima struttura cerebrale.

Tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, comunque, sono stati scoperti dei neuroni distribuiti in alcune aree del cervello e specializzati nell’attivarsi in corrispondenza con i neuroni della persona che si ha di fronte.

Questo sembra rilevante per ogni teoria dell’apprendimento. Vediamo gioire e gioiamo anche noi, vediamo soffrire e soffriamo anche noi, vediamo compiere un gesto e cerchiamo di compierlo anche noi o, meglio, si attivano gli stessi neuroni della persona che osserviamo.

Come dice Ramachandran: “un neurone preposto ad afferrare le noccioline si attiva anche quando la scimmia non prende personalmente la nocciolina, ma guarda un’altra scimmia prenderla”.

Sono stati chiamati neuroni-specchio e sono stati posti in stretta correlazione con i comportamenti imitativi nell’uomo, nella scimmia ed in alcune specie di uccelli. Essendo alla base di processi fondamentali per la relazione umana – come l’empatia e la trasmissione delle informazioni -, va da sé che a questi neuroni sia stata attribuita un’importanza decisiva per l’evoluzione umana.

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Strutture e funzioni, comunque, si sviluppano in stretta interdipendenza. Sul piano strettamente cognitivo possiamo dire che lo sviluppo del cervello cominci già nel ventre materno. Non a caso, appena nato, il bambino è in grado di riconoscere la lingua materna distinguendola da un’altra: in rapporto alla prosodia (intonazione, ritmo, accenti) , il suo ritmo di suzione cambia.

I centri della memoria risultano pienamente attivi soltanto intorno ai tre anni di età, mentre il cervelletto si è rivelato essenziale per la coordinazione e la memoria dei movimenti, per la stabilità della percezione visiva e per il senso del tempo – senso che, comunque, in tutta quella sua estensione che di solito viene designata come “astratta”, si completa nella pubertà.

 

Particolarmente interessante è lo sviluppo della cosiddetta mappa somatosensoriale.

In essa si nota che le parti del cervello deputate alla gestione di mani e bocca sono preponderanti rispetto alle altre e che, tuttavia, possono mutare in ragione delle attività del soggetto (Ramachandran, parlandone come di un fenomeno di “sincinesia”, sostiene che ci sarebbe anche un’attivazione incrociata preesistente tra l’area corticale della mano e l’area corticale della bocca, che sono contigue nella mappa motoria di Penfield. E già Darwin, infatti, aveva notato che ”quando qualcuno taglia qualcosa con un paio di forbici, inconsciamente apre e chiude le mascelle”).

La gamma dei neuroni deputati alle mani, per esempio, è più ricca nei violinisti.

E’ presumibile che qualcosa del genere – impegnando sezioni della mappa più vaste rispetto ad altri - avvenga anche per i calciatori. Da quanto detto – un minimo rispetto a quanto si potrebbe dire – si arguisce facilmente che il cervello è caratterizzato da un alto livello di plasticità e che è ben presto pronto a gestire processi che, guardando all’organismo come ad una persona, possono essere considerati di ordine tattico.

La parola “tattica” designa essenzialmente il mettere in ordine una pluralità di elementi (dal greco “taxis”, rango, da cui anche “tassonomia”, classificazione) – un mettere in ordine, ovviamente, in rapporto ad uno scopo. Nulla è ordinato o disordinato di per sé; il veder qualcosa “in ordine” o “in disordine” dipende dall’applicazione di una categoria mentale.

Da questo punto di vista ci si rende conto che il comportamento tattico è acquisito ben presto nell’esperienza infantile, anticipando la pur precoce fase del gioco. Le stesse modalità di richiesta del bambino in fasce che esperisce la prima cognizione della durata tra un biberon e l’altro possono essere considerate l’espressione di una tattica. Presto il bambino impara a far passare la forma triangolare o quella circolare nelle corrispondenti aperture.

 

Presto il bambino impara che l’acquisizione e l’uso del linguaggio stesso – prima nella forma dell’indicare, poi nella forma del nominare - sono stratagemmi funzionali al possesso. Pertanto possiamo articolare un insieme di fasi piuttosto precoci nello sviluppo del bambino – come la fase della costruzione dell’oggetto e della sua permanenza, quella dell’attribuzione a questo oggetto di una identità individuale, poi quella dell’attribuzione di autonomia, poi quella dell’attribuzione di comportamenti orientati ad uno scopo, poi quella in cui si pone – finalmente – una analogia tra identità propria e identità altrui e, infine, la fase in cui sorge l’esigenza di controllare oggetti, persone ed eventi.

E’ a questo punto che il bambino è in grado di fare predizioni e di agire di conseguenza perché queste predizioni si avverino o meno.

I neurobiologi, d’altronde, ci raccontano che fino al 18° mese il bambino vive con il senso del solo presente, entro il 30° sviluppa il senso del futuro ed entro il 42° mese di vita corona le proprie coordinate temporali sviluppando il senso del passato.

L’apprendimento del comportamento tattico nel giovane calciatore.

Tra chi esprime la propria tattica mettendo in un suo ordine un insieme di elementi e il giovane calciatore c’è una differenza sostanziale: il classificabile non è più autonomo dal classificatore, perché il classificatore fa consapevolmente parte del classificabile – il giovane calciatore deve coordinare se stesso in rapporto agli altri, il comportamento proprio in rapporto al comportamento altrui.

 

L’apprendimento del comportamento tattico strettamente calcistico implica pertanto la consapevolezza di un elevato grado di interdipendenza. Le età calcistiche – le suddivisioni dei giovani calciatori in base all’età – sono il risultato di un’astrazione di comodo. Ci si affida ad un criterio sufficientemente univoco quanto facilmente applicabile. Altre soluzioni sarebbero troppo complicate e poco economiche.

Le gradualità escogitate via via dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio e dagli studiosi competenti per i settori giovanili rispondono, in pratica, alla possibilità di doversi confrontare con un numero di variabili crescente in rapporto all’età e con la possibilità di mantenere queste variabili – entro certi limiti – sotto il proprio diretto controllo ai fini di un’efficace correzione – fermo restando il fatto che, comunque, il soggetto partecipante è consapevole di una “certa” parcellizzazione del lavoro (divisione del lavoro che è insita nel principio stesso del gioco e che diventa pratica consapevole con l’aumento della competenza del gioco stesso). Tuttavia, se si volesse – e si potesse – rispettare e valorizzare l’individualità dello sviluppo, a prescindere dalle età anagrafiche, sarebbe corretto pianificare l’apprendimento tattico in rapporto alla valutazione delle competenze fisico-tecniche acquisite.

 

In fatto di criteri, l’istruttore del giovane calciatore non avrebbe che l’imbarazzo della scelta, perché, per esempio: le distanze raggiunte dal calcio del pallone condizionano le distanze tra i giocatori la capacità di alzare la palla condiziona la reciprocità della distribuzione nello spazio la capacità di stoppare e orientare la palla condiziona i tempi e i modi dello smarcamento.

Su queste basi – o su altre analoghe o da queste deducibili – possono essere costituiti insiemi omogenei di giovani calciatori in istruzione.

Sul piano dei contenuti didattici, poi, quanto detto implica l’opportunità di allenare la preditività, in quanto costituente cruciale del comportamento tattico.

L’obiettivo potrà essere conseguito in due fasi distinte e consecutive: la prima – generica, ancora preliminare al gioco vero e proprio - è quella che si avvarrà di esercitazioni mirate alla costituzione della triplice relazione tra spazio, tempo e palla giocata; la seconda – specifica della coordinazione motoria all’interno del campo di gioco nella partita giocata – è quella che si avvarrà di esercitazioni mirate alla distribuzione dell’insieme squadra nelle funzioni alternative di pessimistico-orientati e di ottimistico-orientati.

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Bibliografia

Accame F., La zona nel calcio – Metodologia e didattica, Società Stampa Sportiva, Roma 1984

Accame F., L’allenatore di calcio alle prese con la comunicazione alla squadra, con i valori propri e con i valori altrui, in Tubi V. (a cura di),

La formazione psicologica dell’allenatore di calcio, Società Stampa Sportiva, Roma 2009

Benini A., Che cosa sono io, Garzanti, Milano 2009 Ramachandran V. S., Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano 2004

Tomasello T., Le basi della comunicazione umana, Cortina, Milano 2009

Von Glasersfeld E., Il costruttivismo radicale, Società Stampa Sportiva, Roma 1998

Yang C., Il dono infinito, Codice, Milano 2007

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Felice ACCAME, Docente di Didattica della comunicazione e presidente della Società di cultura metodologico - operativa.

 

Data inserimento e aggiornamento nel sito: 04/01/2012 - 08/05/2017

 


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