Possesso palla: proposte per l'età evolutiva

Data inserimento e aggiornamento nel sito: 04/08/2011 - 02/03/2018

A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, col contributo di tecnici di indubbio prestigio come l’italiano Arrigo Sacchi, il colombiano Maturana e l’olandese Cruijff, abbiamo assistito a un’autentica rivoluzione nel campo dell’allenamento e in partita, soprattutto per quanto riguarda la fase di recupero del pallone.

Era proprio Sacchi che teorizzava che difendere era come attaccare.

Da questa filosofia nacque, nel calcio di allora, una concezione della difesa a zona come un’unità organizzata e strutturata, basata su sincronismi quasi perfetti.

Partendo da questo concetto, Sacchi impostava l’organizzazione difensiva delle sue squadre non aspettando gli avversari, ma andando a cercarli con la palla anche nella loro metà campo, con un pressing offensivo che aveva come obiettivo principale quello di provocare l’errore dell’avversario e di renderlo incapace di costruire situazioni d’attacco vantaggiose per la propria squadra.

Se in quel momento la filosofia difensiva di Sacchi e del suo Milan ebbe molto successo, oggi possiamo dire che col passare del tempo queste idee sono state riadattate e semplificate nella


forma: questo fa sì che molti allenatori considerino la fase difensiva separata dal contesto globale del gioco della propria squadra.

Si arriva quindi a considerare la fase di recupero del pallone come un momento distinto dalla fase di attacco: pertanto la squadra non ha nessun collegamento fra le due fasi, quella di difesa e quella di attacco.

Per molti tecnici, oggi, l’obiettivo principale nelle partite è quello di difendere, accontentandosi poi di dichiarare che la loro, in campo, è una squadra ordinata.

È evidente che quando si fanno affermazioni del genere è perché l’allenatore vede che la propria squadra passa la partita a correre dietro alla palla, che molto spesso viene conquistata vicino alla propria porta, con pochi giocatori davanti a essa: e questo chiaramente non permette di organizzare contrattacchi che abbiano successo. Curiosamente, di queste squadre si dice che sono “squadre equilibrate”.

Molti allenatori oggi, si vantano con grande convinzione di essere capaci di costruire squadre che difendono bene, salvo non preoccuparsi se poi la squadra perde subito la palla.

È così grande l’ossessione di “giocare con ordine” che a volte si confonde questo concetto col trovarsi tutti sotto la linea del pallone: ma poi nella fase di attacco la squadra rischia di non essere equilibrata e di trovarsi in difficoltà nello sviluppo di una efficace fase offensiva.

Al contrario, una squadra ordinata tatticamente è quella che ha equilibrio sia in difesa che in attacco e non solo quella che si preoccupa esclusivamente dell’equilibrio difensivo.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una nuova rivoluzione nella teoria della metodologia di allenamento. Il grande impegno di personaggi come Antón, Paco Seirulo, Xesco Espar nell’ambito dei giochi sportivi di squadra ha portato a nuove riflessioni teoriche e alla nascita di un nuovo movimento di pensiero che sta tracciando in campo metodologico nuove frontiere che prevedono che il gioco in sé diventi il protagonista delle nuove proposte di procedure di addestramento giovanile.

In definitiva, un nuovo paradigma che ha come obiettivo il miglioramento qualitativo nell’allenamento del gioco di calcio.

Oggi abbiamo capito che il giocatore è un soggetto tattico e che la tattica è in definitiva l’insieme di possibilità che un giocatore ha in un momento determinato, in un ambito di riferimenti fondamentali che determineranno la sua decisione: pallone, compagni, avversari, spazio di gioco e porta, come le esperienze vissute e non, come il talento individuale capace di generare risposte che neanche l’allenatore aveva immaginato.

Tutti sappiamo che in un campo di gioco di qualunque sport ci troveremo davanti a tre tipi di individui: quelli che non sanno nulla di quel che succede, quelli che reagiscono davanti agli   stimoli di situazioni diverse di gioco e quelli che sono capaci di far evolvere una situazione verso il successo.

 

Ma l’aspetto determinante che troviamo nel campo teorico della tattica è sapere che nel calcio non esistono fasi separate e che l’attacco e la difesa sono la stessa cosa.

 

Il vero equilibrio, in una squadra di calcio, si basa sul fatto che i giocatori, in funzione delle loro possibilità d’intervenire attivamente nel gioco, riequilibrano e cambiano la posizione sul terreno, per compensare la squadra nelle situazioni negative di transizione del gioco stesso.

Oggi, nel calcio le partite si vincono o si perdono nelle situazioni dove si conquista o si perde il pallone.

D’altro lato, è necessario riflettere sull’ossessione dei tecnici, convinti che sia importante solo la ripetizione degli schemi che in passato hanno permesso alle loro squadre di ottenere dei successi.

Allora i giocatori, attraverso i loro comportamenti in campo, saranno apprezzati per le loro capacità di essere razionali o estrosi nelle varie situazioni di gioco che si sviluppano nella zona del pallone, oppure quando non si trovano in situazione d’intervento diretto sulla palla, ma sono chiamati a eseguire i giusti movimenti di posizionamento che permettono alla squadra di avere sempre un buon equilibrio tattico.

Si elimina così la visione stereotipata del calcio che ci porta a collocare i giocatori in un contesto che tende a riprodurre movimenti “tattici” automatici, che non tengono conto delle loro differenti qualità cognitive.

Le caratteristiche dei giochi sportivi di squadra

Il calcio è un gioco di squadra che richiede il massimo livello di capacità di comunicazione e collaborazione.

Il giocatore deve acquisire la coscienza di sviluppare il senso del gioco collettivo, la solidarietà, l’aiuto reciproco e deve subordinare gli interessi personali a quelli del gruppo. L’individuo è formato per la squadra”. (José Maria Sanz Sánchez).

• sono giochi nei quali hanno grande importanza la tattica e la continuità nell’interpretare e risolvere le situazioni di gioco.

• dipende dalle esperienze acquisite e dalle conoscenze che il singolo ha dentro di sé il modo in cui i giocatori mettono in atto la loro attitudine tecnico-strategica.

• l’organizzazione tattica cognitiva è fondamentale.

• i giocatori collaborano fra di loro, con l’obiettivo comune di battere gli avversari.

• i giocatori devono imparare ad adattarsi e riadattarsi di continuo alle nuove situazioni create dallo sviluppo del gioco: contemporaneamente devono essere capaci di elaborare e produrre nuove risposte alla costante variabilità delle situazioni e alla grande incertezza spaziale, che fa sì che due situazioni non siano mai uguali tra di loro.

• il gioco in sé non è mai lineare: è quindi impossibile prevedere in anticipo uno sviluppo preordinato e stabilito, ogni situazione di gioco ha sempre diverse soluzioni.

• le capacità di percepire e decidere sono le più importanti all’interno del ciclo dell’atto tattico.

• “sono sport situazionali, poiché l’atteggiamento dei giocatori è strettamente collegato con la loro capacità di dare risposte adeguate ed efficaci alle costanti e diverse modificazioni che si creano nel contesto del gioco”. (Bruno del Castello e Morcillo Losa, 2004).

Quale metodologia per il gioco del calcio?

Considerando che la missione dei tecnici è sviluppare un modello di allenamento che abbia l’obiettivo di ricostruire le tematiche della partita, cercando di conferire ai giocatori una formazione adeguata, e di far sì che le sedute consentano di raggiungere ottimi livelli di prestazione, rivolta soprattutto allo sviluppo della dimensione cognitiva, ponendo in secondo piano lo sviluppo della dimensione fisica, diventa fondamentale, dopo aver analizzato le caratteristiche del gioco, evidenziare gli obiettivi generali dell’allenamento che si desidera raggiungere in ogni seduta e che devono guidare la nostra proposta pratica, nel modo che segue:

a. ridurre progressivamente le incertezze e le insicurezze provocate dal gioco. (Cano Moreno e Morcillo Loca);

b. ottimizzare il rendimento, nella prospettiva del giocatore, significa ottimizzare tutte le sue capacità in relazione alle esigenze di ogni attività (Seirulo Vargas);

c. ottenere il massimo rendimento individuale e collettivo;

d. inculcare cultura tattica.“La mia grande missione come allenatore è creare cultura tattica. Insegnare al giocatore a interpretare le situazioni, dandogli più informazioni possibili e motivandolo a capire bene i principi del gioco. A

lla fine in campo decide il giocatore e non l’allenatore”. (J.M. Lillo);

e. far sì che le esercitazioni proposte in allenamento siano adatte a raggiungere obiettivi specifici e vengano assimilate dai giocatori;

f. “Il migliore allenamento è quello che riesce a riprodurre fedelmente una situazione nella quale il giocatore riesce a ottimizzare certi meccanismi, da lui accettati e riconosciuti importanti per aiutarlo a risolvere quella situazione proposta” (Seirulo Vargas).

Il conseguimento di questi obiettivi dipenderà dall’impiego sul campo di una specifica metodologia sostenuta dai principi del nostro gioco, che anteponga gli obiettivi tecnico-tattici a quelli fisici.

Si possono elaborare esercitazioni globali e integrali.

Qui desidero presentare il metodo in cui credo, definito strutturale.

La cultura tattica

Gli allenatori debbono impostare il loro lavoro sull’obiettivo d’insegnare ai propri giocatori a interpretare, sentire e leggere le situazioni di gioco.

 

Il processo comincia dalla base, allorché i tecnici dovrebbero offrire un’ampia gamma di conoscenze tattiche che permettano ai giocatori di potere scegliere sempre la migliore soluzione.

 

Il giocatore deve conoscere il perché di ogni cosa ed è per questo che deve conoscere il gioco.

Conoscere il gioco significa porsi sempre queste domande: perché? per quale motivo? come? quando? dove? a chi o con chi?

Allora nei contenuti quotidiani di allenamento, se vogliamo aumentare il suo grado d’efficacia nella competizione, dovremo inserire proposte rivolte a fortificare i meccanismi decisionali tecnicocognitivi, come ci insegna Manuel Conde.

 

Le attività nell’insegnamento del calcio

Quali caratteristiche debbono avere dunque le attività di allenamento?

a. devono essere di difficoltà crescente, dal facile al difficile;

b. devono stimolare a prendere decisioni: evitare di ripetere di continuo quello che i giocatori debbono fare e quello che non dovrebbero fare;

c. devono offrire ai giocatori orientamenti e riferimenti, affinché conseguano da soli gli obiettivi dell’allenamento, evitando di dare loro soluzioni precostituite;

d. non dobbiamo insegnare loro a eseguire esercizi a memoria, bensì dobbiamo fare in modo che imparino a giocare a calcio.

e. devono tenere sempre in conto la logica del gioco, e quindi prevedere sempre l’uso di porte che abituino il giocatore al gioco di difesa e di attacco;

f. non si devono scomporre le fasi del gioco. Perché proponiamo attività in cui alcuni giocatori attaccano, mentre gli altri, una volta recuperata la palla, concludono il loro esercizio?

g. i principi tattici sviluppati devono essere strettamente collegati alla filosofia di gioco;

h. l’allenamento in spazi ridotti è necessario, ma dobbiamo sempre considerare che per ovvi motivi, sia a priori che a posteriori, ha il limite di non stimolare il giocatore al gioco reale.

Sappiamo comunque che, nelle fasi iniziali, il gioco in spazi ridotti mette il ragazzo in condizione d’essere sempre al centro dell’azione, col problema della perdita e della riconquista della palla.

Questo aspetto, evidenziato in precedenza, è comunque molto importante, perché sono le situazioni in cui si decidono le partite;

i. le capacità condizionali debbono essere allenate sfruttando le condizioni di variabilità che abbiamo nelle diverse situazioni di gioco ...


 

  

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