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Ricreare il calcio di strada

Carlo Chiarabini

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Ricreare il calcio di strada Nella mia esperienza da responsabile e da istruttore nel settore giovanile ho visto “passare” come si suol dire, molti ragazzi.

Ciò che mi appassiona di più è valutare la loro evoluzione: nel corso della stagione, a fine anno e poi via via nel corso degli anni, per capire se siamo riusciti a trasmettere loro qualcosa di buono, se siamo stati bravi educatori, se quel bambino che sembrava avere certe qualità poi fosse riuscito ad esprimerle e viceversa se quello invece meno dotato avesse magari fatto passi da gigante.

 

Le risposte a queste domande contribuiscono a formare la nostra maturità in ambito calcistico ma anche umano.

Ci fanno capire quali possono essere le variabili che incidono su un determinato percorso, e di conseguenza ci permettono di essere consapevoli di quello che facciamo, aiutandoci a sbagliare di meno.

Osservando l’attività dei ragazzi nei vari contesti delle scuole calcio, mi è sembrato di carpire una caratteristica abbastanza comune negli ultimi anni: la mancanza di totale spontaneità dei bambini, collegata agli eccessivi vincoli che noi allenatori imponiamo per raggiungere determinati obiettivi. Parlando con Fabio e con altri colleghi, anch’essi istruttori, mi sono detto: “non giocano più come facevamo noi nella strada”.

Ed eccoci qui, “ricreare il calcio di strada”, così recita il titolo del mio intervento oggi e proviene un pò dai ricordi che ogni tanto riaffiorano sui periodi cosiddetti “belli”, ovvero quelli di quando eravamo bambini.

Mi tornano infatti spesso alla mente le grandi partite, le grandi sfide che facevamo nei lunghi pomeriggi dopo la scuola, in ogni periodo dell’anno.

Che piovesse, facesse freddo o ci fosse il sole poco importava; ciò che contava era solamente la voglia di arrivare a casa, mangiare un boccone e scendere giù in strada con un pallone. E si, perché il teatro del nostro giocare non era di certo lo stadio del paese, ne tanto meno il campetto di periferia; se chiudo gli occhi un attimo e ripenso a quei tempi subito un’immagine mi trovo di fronte: la strada.

 

Badate bene, le grandi sfide potevano consistere in partite cinque contro cinque, tre contro due, uno contro uno, ma anche in giochi diversi come il “chi fa gol va in porta” o il “calcio tennis a muro” e tanti altri.

Ora alcuni di voi sapranno di cosa sto parlando, altri un pò più giovani magari no. Ma non voglio di certo stare qua a spiegarvi le particolarità di quei giochi (tra l’altro bellissimi) o di quelle gare; sarebbe interessante ma l’obiettivo è un altro.

E’ quello di riflettere su quale valenza didattico-educativa potesse avere, ed ha, la pratica del calcio di strada, e dunque come la sua essenza debba essere a mio avviso capita e riproposta oggi nella nostra attività di insegnamento nella scuola calcio.

 

Tra i vari aspetti positivi che caratterizzano questa esperienza, tre sono di particolare rilievo:

• La formazione del carattere di un ragazzo

• Il vasto esercizio delle tecniche calcistiche

• La gioia del gioco Il primo obiettivo mette in risalto come, un gruppo di bambini, riesca ad imparare ad autoregolarsi, gestendo situazioni anche complesse.

 

A volte sbagliando, certo; a volte evidenziando piccole ingiustizie (pensiamo es. al ragazzino un pò sbruffone); altre volte ancora non riuscendo a mettere ogni cosa al posto giusto.

Ma si sforzano, e pian piano riescono a trovare l’equilibrio.

Iniziano a capire cosa significhi costruire regole e rispettarle, aiutarsi, approfittare di un errore dell’altro. C

ome dice Jorge Valdano in un suo libro “…non si tratta di un lavoretto ingenuo: stanno imparando a vivere”.

Allora quale palestra migliore per formare il carattere di un ragazzo? Da grande, sia che giocherà a calcio, sia che non lo farà, egli dovrà prendere decisioni, ingoiare bocconi amari, sapere che per raggiungere risultati occorre fare sacrifici, capire che a volte neppure questo basta, e tanto altro ancora. Ecco, il gioco del calcio visto in quest’ottica può dare tanto ai nostri giovani.

Il secondo aspetto riguarda la gestualità tecnica, intesa nel senso più ampio del termine. Avete mai provato a guardare con attenzione bimbi che giocano per strada? Riescono a fare delle cose che non sembrano possibili.

 

Basta pensare alla nostra esperienza; forse non ci abbiamo mai fatto caso, ma giocando tra amici senza vincoli o pressioni di sorta, magari la partita di calcetto prima della pizza, riusciamo a compiere dei gesti che, in una partita vera di campionato non immaginiamo nemmeno di provare.

Colpi di tacco, tunnel, giocate al volo, tiri di punta e potrei continuare ancora.

Questo per farci fermare a riflettere che i bambini, soprattutto nelle fasce di età più basse, hanno bisogno di essere lasciati liberi di esprimersi, anche per poter manifestare certe qualità tecniche che invece noi, con i nostri schemi, troppo spesso freniamo. Terzo aspetto, ma primo per importanza, la gioia del gioco.

E’ la base dell’insegnamento, la condizione che noi istruttori dobbiamo cercare di creare ogni volta che ci rapportiamo ai nostri bambini. E’ l’aspetto principale dell’attività che svolgiamo e, lasciatemelo dire, oggi troppo spesso trascurato da molti di noi.

 

Il calcio di strada creava emozioni forti, positive e negative. Capitava di gioire per un gol allo scadere, per una partita vinta, di arrabbiarsi per una sconfitta, di piangere per un calcione preso, ma una cosa non mancava mai: la felicità di giocare.

Ricordo che al mio paese non si vedeva l’ora di arrivare giù nello spiazzale; si iniziava alle due del pomeriggio di inverno e si finiva alle cinque, nel momento esatto in cui la corriere passava a fianco del nostro “campetto inventato” e decretava la fine. Sudati andavamo a casa, chi aveva vinto, chi aveva perso, con un unico pensiero: che il giorno seguente avremmo ancora giocato assieme.

 

Ecco questo solo per capire quanto importante sia stata per noi ragazzi quella strada. E di giocatori bravi ne sono venuti fuori eccome.

I tempi però sono cambiati. Per mille ragioni oggi i bambini nella strada non giocano più.

E non è un problema di spazi, ma appunto di tempi. Tempi intesi sia come momento storico (in questi ultimi venti anni la società è stata stravolta quanto a stile di vita ed in parte è giusto che ci adeguiamo) sia proprio come tempo a disposizione nell’arco della giornata.

Oggi un bambino ha la vita programmata come un robot, e questo non è un bene: il lunedì catechismo, il martedì e il giovedì rientro a scuola, il mercoledì fino alle cinque corso di inglese, poi i compiti, poi qualcos’altro. Aggiungiamo che il mattino a scuola trascorrono sei ore spesso come soldatini e il quadro è bello che fatto. Tutto questo ci deve fare pensare e, a mio avviso, deve essere da spunto per capire che quella strada che oggi non c’è più noi la dobbiamo ricreare per i nostri ragazzi e lo possiamo fare nella scuola calcio.

Anzi lo dobbiamo fare, sfruttando tutte le modernità e le tecnologie che la società ci mette a disposizione.

 

Allora cerchiamo di essere più autorevoli e meno autoritari, lasciamoli decidere, non indichiamo nelle esercitazioni sempre la via migliore.

Invece a volte lasciamo che si prendano la briga di organizzarsi, diamogli la possibilità di scegliere tra più soluzioni, magari sbagliando, per poi aiutarli nella comprensione delle situazioni attraverso il metodo della scoperta guidata, o altri modi che riteniamo opportuni. In questa maniera imparano, ricordano e arricchiscono il loro bagaglio.

Attenzione però; tutto ciò non è incompatibile con professionalità, con programmazione, con l’essere metodici, con l’insegnamento analitico e quant’altro richiesto per poter insegnare calcio.

 

I metodi sono tutti adeguati, se sviluppati in un contesto in cui il bambino può tirare fuori il meglio di se, dove egli possa imparare giocando e giocando divertendosi. Alla fine siamo sempre noi quelli che riescono a rendere un allenamento divertente e proficuo, stimolante ed impegnativo.

Oggi siamo noi che abbiamo la responsabilità di preparargli il terreno, di fare in modo che vengano al campo con entusiasmo, per imparare e divertirsi.

Siamo noi a dovergli costruire “la strada”, dove arrivino con il sorriso, e con il sorriso ci salutino quando se vanno via.

 

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Carlo Chiarabini: Docente e istruttore in ambito sportivo

 


Data inserimento  nel sito: 11/04/2017

 

 

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