Ormai non c'è più dubbio sul fatto che le emozioni 
		fanno parte integrante dello sport allo stesso modo delle qualità 
		fisiche e tecniche. 
		
		Sicuramente quella di cui si è più parlato è 
		l'ansia, considerata spesso come un disturbo, un limite, o anche un 
		nemico che si accetta perché non si sa combattere.
		
		L'ansia è necessario metterla in relazione con lo 
		stress, poiché sono numerose le situazioni in cui gli atleti possono 
		essere sottoposti a stimoli stressanti che provocano in loro degli stati 
		d'ansia. 
		
		Un processo stressante deriva dalla percezione di 
		uno squilibrio tra le richieste ambientali e capacità di risposta del 
		soggetto, e l'inadeguatezza ad affrontare tali richieste è percepita 
		come potenzialmente pericolosa (Robazza, Bortoli e Gramaccioni 1994). 
		
		 
		
		Per molto tempo gli psicologi hanno considerato 
		questi stanti ansiosi come un aspetto che influenza negativamente la 
		prestazione, e quindi agivano nel tentativo di ridurli. 
		
		Negli ultimi anni, invece, si è diffusa l'opinione 
		che un moderato livello di ansia possa comportare un giusto grado di 
		attivazione fisiologica, che può, a sua volta, tradursi in uno stimolo 
		energizzante utile per il miglioramento della prestazione. 
		
		Spesso, nel considerare le situazioni stressanti 
		cui gli atleti sono sottoposti, si sono confusi, o usati impropriamente, 
		i termini di attivazione ed ansia. 
		
		Il primo indica esclusivamente l'attivazione 
		dell'organismo, rappresentando una situazione neutra che riflette 
		solamente l'intensità dei cambiamenti del sistema nervoso autonomo. 
		
		L'ansia, invece, esprime l'interpretazione 
		cognitiva del soggetto che si accompagna ad un elevato grado di 
		attivazione, in presenza anche di uno stato d'animo negativo (cfr. 
		Bortoli, Robazza e Gramaccioni 1994). 
		
		Come si può intuire non si può quindi considerare 
		uno di questi due aspetti senza prendere in esame anche l'altro, e tale 
		legame si può meglio comprendere distinguendo l'ansia in cognitiva e 
		somatica. 
		
		L'ansia cognitiva rappresenta la componente 
		mentale dell'ansia, che può originare da varie valutazioni negative 
		quali la paura del fallimento, la scarsa fiducia nei propri mezzi, ecc. 
		
		L'ansia somatica, invece, è la componente legata 
		all'attivazione dell'organismo, ed in particolare rappresenta la 
		percezione della risposta fisiologica ad uno stimolo stressante. 
		
		In letteratura c'è anche un'altra importante 
		distinzione tra ansia di stato e ansia di tratto. La prima esprime uno 
		stato emozionale transitorio, caratterizzato da vissuti soggettivi 
		negativi di apprensione e tensione, accompagnati da attivazione 
		dell'organismo. 
		
		La seconda è una caratteristica relativamente 
		stabile, una sorta di predisposizione a reagire a molti stimoli 
		ambientali con un'elevata ansia di stato. 
		
		Quest'ultima distinzione è stata utile per 
		constatare che generalmente atleti che presentano alti livelli di ansia 
		di tratto evidenziano, nella competizione, maggiore ansia di stato 
		rispetto a quelli con bassa ansia di tratto. 
		
		 
		
		Fra i primi autori che cercarono di studiare 
		l'ansia ipotizzandone anche un effetto facilitante, e non solo inibente, 
		ai fini della prestazione furono Grahm Jones e Austin Swain (1994). 
		
		Il test utilizzato per i loro rilevamenti fu lo 
		CSAI-2 (Competitive State anxiety Inventory) che misura l'intensità dei 
		sintomi indicatori della presenza di uno stato ansiogeno, quali la 
		tensione (ansia somatica) e preoccupazione (ansia cognitiva). Inoltre 
		misura anche il livello di fiducia in relazione alla competizione (self 
		- confidence). 
		
		I risultati dei loro studi li portarono ad 
		affermare che non esistono differenze sostanziali tra atleti di vertice 
		e atleti mediocri in termini di ansia, ciò che li differenzia è invece 
		l'interpretazione di questi sintomi ansiogeni: gli atleti di vertice li 
		considerano più facilitanti di quanto non facciano gli atleti mediocri 
		ai fini della performance. Questi autori affermano, inoltre, che questa 
		interpretazione positiva dell'ansia è correlata ad una maggior fiducia 
		in se stessi e nei propri mezzi (sel f-c onfidence); chi invece presenta 
		scarsa autostima tende a riportare alti livelli di ansia in relazione 
		alla competizione.
		
		 
		
		Quindi le due parole chiave che ci permettono di 
		comprendere meglio la dimensione dell'ansia sono il livello di 
		attivazione e l'utostima di un individuo. 
		
		La prima si ottiene, senza entrare nello specifico 
		di questo argomento, attraverso una ristrutturazione cognitiva piuttosto 
		che ad un rilassamento che rischierebbe di abbassare eccessivamente il 
		livello di attivazione; naturalmente, se quest'ultimo si è dimostrato 
		essere ugualmente troppo elevato, le tecniche di ristrutturazione 
		cognitiva vanno associate a quelle di rilassamento. 
		
		Acquisizione e miglioramento dell'autostima, 
		invece, è un processo che deve avvenire sin dai primi approcci sportivi 
		del ragazzo da parte dell'allenatore, attraverso stimoli verbali che 
		infondano fiducia e che permettano di percepire l'errore come un 
		passaggio obbligato per il raggiungimento dell'obiettivo che allenatore 
		ed atleta si sono posti.