Preparazione Fisica | Proposte per il Settore Giovanile | Claudio BIANCHERA
Guida e protezione della palla

Prima parte

 


 

Scelta degli obiettivi

La scelta degli obbiettivi di un allenamento è il risultato di uno studio e presa di coscienza da parte dell’allenatore - educatore di numerose variabili relative al protagonista del suo agire, il bambino.

Nella mia breve esperienza da allenatore e preparatore coordinativo atletico mi sono reso conto di quanto ci si può allontanare dall’obbiettivo e allo stesso tempo di quanto si possa cadere in errore nel valutare lo scopo della propria seduta di allenamento. Per obbiettivo di una seduta cosa intendiamo?

Sappiamo che un obbiettivo può essere tattico (1contro1), tecnico (conduzione di palla), coordinativo (calcolo della traiettoria in anticipazione motoria), cognitivo (comprensione del pieno-vuoto, tanto-poco), condizionale (rapidità), morale (sviluppo delle capacità di adattarsi e accettare i ruoli e alle regole).

Sappiamo anche di come questi obbiettivi siano più o meno adatti alle capacità psico-motorie del bambino in relazione al suo stadio di maturità. Su questo ormai gran parte degli allenatori, sia di squadre professionistiche che non, sa su cosa lavorare. Ad esempio con bambini di 7-8 converrete nel pensare che sarà importante lavorare su una parte tecnica di conduzione, una parte tattica di 1contro1, una coordinativa che può toccare tutte le capacità dall’equilibrio all’anticipazione motoria, una condizionale che è la rapidità e una cognitiva morale che è il rispetto delle regole. L’allenatore che inizia il suo allenamento con queste premesse è come se avesse acquistato una barca con la quale vuole attraversare il fiume.

Raggiungere la riva opposta è per lui raggiungere il suo vero obbiettivo. Si perché gli obbiettivi che ci siamo posti precedentemente non sono altro che attrezzi, mezzi per raggiungere il vero obbiettivo di un allenamento che è il miglioramento e l’apprendimento del bambino ovvero il cambiamento di un comportamento o di un atteggiamento. Mutare una forma precedente che significa far emergere nuovi comportamenti cognitivi, comportamentali e affettivi.

I fondamenti del nostro allenamento

Il mio lavoro è preparatore coordinativo di squadre di calcio di bambini. Prima del risultato c’è un gioco e c’è un giocatore. Il gioco è il Calcio. Il giocatore è un bimbo. Per poterci chiamare allenatori in categorie della scuola calcio dobbiamo avere i piedi ben piantati per terra e capire fino in fondo cosa significa educare dei bambini a giocare.

Che cosa è il Calcio?

All’età di 7 anni solitamente si gioca liberamente a rincorrere o scappare, si gioca a “1-2-3-stella” a “nascondino”, “lupo mangia frutta”, si gioca a lanciare, rotolarsi e arrampicarsi, si gioca alla lotta, si gioca a dare pugni, si gioca a dare calci.

Il gioco che abbiamo scelto di allenare e farne sfondo della nostra professione è quello “dei calci”. Sì perché al bambino piace sia fare gol che calciare o per meglio dire per questa età .. tirare calci. Anche se queste ultime parole possono forse apparire semplicistiche verso un giocosport come il Calcio così importante e strutturato nella nostra società, è vero altresì che specialmente per fasce d’età così basse le motivazioni che portano i piccoli a giocare sono diverse da quelle che spesso noi allenatori diamo per scontate siano.

Infatti il calcio per il bambino è un gioco che piace perché è fatto di regole semplici, con giocatori eroi e antieroi che hanno ruoli diversi e con ambientazione più o meno varia a seconda della fantasia del mister e della situazione metereologica.

Nel rispetto di queste leggi di gioco le persone,e in questo caso i bambini, sono libere di percepire situazioni e muoversi di conseguenza con la strategia per loro più gratificante. Gratificazione che per l’adulto è vincere ma che spesso e volentieri per il bimbo è di fare gol o tirare tanti calci alla palla.

Educare al gioco significa dare tutti gli strumenti possibili a una persona per meglio affrontare le situazioni che quel gioco crea rispettando i bisogni che cerca di soddisfare col gioco stesso. L’adulto ha bisogno di vincere e sentirsi in forma, il bimbo ci chiede scoperta e accettazione.

 


 

Chi è il giocatore?

La seconda premessa che faccio è quella di capire chi è il giocatore. Egli è una persona che si trova ad affrontare come detto prima situazioni inserite in un contesto di regole e ruoli. Il suo comportamento quindi nel gioco è, come nella vita, una cartina al tornasole dello stato d’animo, fisico e mentale che attraversa. Una persona è come gioca. La postura, la personalità e il carattere di un essere umano si manifestano sinceramente quando egli si muove e quando gioca (le parole invece spesso nascondono quello che il gioco e il movimento rendono evidente).

 

Quando una persona gioca possiamo osservare che immagine ha di sé ovvero come percepisce se stessa e il suo corpo in relazione all’ambiente esterno. Fuori dal campo vediamo gente posata e ben proporzionata fisicamente che diventa frenetica e maldestra in campo, oppure persone riconosciute come sorridenti e forti che si dimostrano sfiduciate e irritate nel gioco.

 

 

L’immagine che uno ha di sé quindi condiziona il modo di rapportarsi con le cose e le situazioni, e nel nostro caso il modo di giocare, la percezione e reazione al pericolo e all’avversario. Vediamo 3 giocatori differenti che portano palla. Pirlo il più delle volte cerca una via di fuga per aggirare l’avversario che gli si avvicina per contrastarlo; Gattuso mostra i muscoli e va dritto verso lo scontro; Kakà affronta frontalmente l’avversario muovendosi rapido di conseguenza.

Per il primo è fondamentale osservare continuamente quello che fa l’avversario per comportarsi di conseguenza, proteggendo palla e servendo i compagni, per il secondo l’osservazione passa in secondo piano rispetto alla prova di forza e grinta perdendo e recuperando palla, per il terzo l’avversario è uno stimolo per esaltare la propria fantasia per creare una grande azione personale.

Tutti e tre i giocatori sono efficacissimi nel loro ruolo ma è indubbio che percepiscono loro stessi in modo diverso. Anche il loro corpo dimostra atteggiamenti diversi. Pirlo di media statura, spalle chiuse, con ottima capacità coordinativa, freddo-introverso; Gattuso di bassa statura, collo taurino, spalle incassate, grande forza agli arti superiori e inferiori, discreta capacità coordinativa, sanguineo; Kakà di alta statura, spalle aperte, arti inferiori con discreta massa muscolare, capacità coordinativa sereno-introverso.

 

Queste osservazioni che non hanno nulla di scientifico si limitano a far notare che atteggiamenti diversi nelle situazioni di gioco riflettono anche carattere e strutture corporee diverse. Se un bambino nell’1 contro 1 dimostra di percepire l’avversario come paura del nemico da respingere lo vedremo difendere la palla senza pensare allo scopo che è il gol ma con il timore che prima o poi la palla non sia più sua. Egli inizierà a difenderla prima ancora che il nemico sia giunto vicino a sé. Se invece il bimbo percepisce il nemico da respingere come un ostacolo da saltare in previsione del gol lo vedremo più propositivo e meno timoroso allo scontro. Infine se il bimbo vede stimolante la situazione di gioco e divertente superare l’avversario cercherà addirittura anche quando non serve di saltare l’amico.  [ continua ] 

 
Fonte: Atti del Convegno "Prima del risultato"
Data inserimento nel sito: 14.11.2011
Data aggiornamento: 27.11.2015